Uno dei più grandi cambiamenti degli ultimi anni nel mondo della riabilitazione è stato il passaggio dal proibire attività ed esercizi dolorosi al concedere ed incentivare i pazienti a partecipare ad attività dolorose.

È doveroso però sottolineare che non tutti i pazienti possono o dovrebbero lavorare in presenza di dolore.
In questo articolo parlerò di quattro punti da considerare quando ci ritroviamo a decidere se un paziente dovrebbe caricare un’area nonostante il dolore, oppure proteggerla.

Disclaimer: i punti che spiegherò non sono nero o bianco e i pazienti non rientreranno sempre all’interno di queste categorie. Inoltre, così come in tutti i casi di dolore, è importante escludere prima di tutto red flags e patologie gravi.

Per tanto l’intento di questo articolo è spiegare come gestire i dolori muscolo scheletrici:
“aspetto che tanto passa” o … “ho aspettato abbastanza ma non è passato quindi devo farmi vedere da qualcuno / non devo aspettare ma devo farmi vedere”

Punto #1: Tempo passato dall’insorgenza del dolore
Negli infortuni acuti e sub-acuti il dolore fa il suo dovere. Non correresti mai su una caviglia gonfia post distorsione e probabilmente non faresti tanti squat con bilancere il giorno dopo esserti fatto male alla schiena caricando la lavatrice. In queste situazioni, nella maggior parte dei casi, ha senso proteggere l’area dolente, almeno per un po’.
Al contrario se sono 3 anni che ti sei fatto male alla schiena caricando la lavatrice e ancora ti senti rigido come una tavola nel sederti ed alzarti probabilmente non è un problema se ti pieghi nonostante un po’ di dolore.
L’unica eccezione che farei è per quanto riguarda i pazienti post chirurgici. Nel loro caso sarebbe da consigliare il movimento nonostante il dolore anche nella fase acuta dato che l’opportunità temporale per riguadagnare mobilità è limitata; considerata però la condizione clinica di un soggetto appena operato, si presuppone che ci sia un corretto programma riabilitativo dietro.

Punto #2: Presentazione del dolore
Per un dolore di tipo nocicettivo, o “meccanico”, ha senso evitare le attività dolorose e proteggere l’area dolente. Se la schiena fa male soltanto a fine range di flessione sarebbe appropriato fare l’hip hinge (cerca su Google hip hinge esercizio con bastone) ed eseguire così una mobilizzazione cauta della colonna vertebrale.
Se invece si sta parlando di un paziente che ha dolore costante in ogni movimento inclusa la flessione, l’hip hinge, sedersi, stare in piedi, camminare, sdraiarsi ecc… è totalmente irrealistico ed impossibile evitare ogni attività dolorosa. L’unica eccezione a questo, come abbiamo detto sopra, è durante la fase infiammatoria dell’infortunio.

Punto #3: presenza di fattori psicosociali e comportamenti per evitare il dolore
Con i pazienti più tranquilli e che apparentemente non hanno nessun fattore psicosociale pertinente al dolore o al movimento (kinesiofobia, paura e evitamento, ipervigilanza, preferenza per i trattamenti passivi) sono più incline a lavorare il più possibile all’interno di range di movimento pain-free.
Quando invece ho a che fare con pazienti che sono particolarmente prudenti e spaventati nel fare una qualsiasi attività, rinforzargli l’idea che il dolore è nocivo e che le attività dolorose siano da evitare ad ogni costo manderebbe soltanto un messaggio sbagliato.
Con i pazienti che hanno comportamenti di evitamento e un pattern di dolore generalmente “sensibilizzato”, anche se siamo in una fase precoce post-infortunio, io utilizzerei un approccio di esposizione graduale, dopo esserci assicurati ovviamente che la fase infiammatoria iniziale sia passata e che non ci siano red flags o presenza di patologie gravi che richiederebbero una gestione medica o chirurgica.

Punto #4: gli obiettivi dei pazienti
Alcuni obiettivi legati a particolari attività potrebbero richiedere un po’ di lavoro con dolore. La maggior parte dei pazienti con protesi di ginocchio con cui lavoro attualmente hanno come obiettivo quello di tornare a camminare autonomamente senza l’utilizzo di ausili. Per loro, migliorare la resistenza e il pattern del cammino e raggiungere i range articolari necessari le per le attività della vita quotidiana potrebbe richiedere un po’ di lavoro con dolore durante le prime fasi.
Al contrario, altri obiettivi si potrebbero raggiungere senza dover necessariamente lavorare in attività dolorose. Se penso ad un powerlifter con lombalgia che si aggrava durante i range finali di flessione lombare. Insegnargli a mantenere la lombare neutra (o il più neutra possibile) durante le alzate e ad usare esercizi per il core isometrici potrebbe fin da subito ridurre o eliminare il dolore durante le alzate.
L’argomento del caricare o non caricare in presenza di dolore è complesso e controverso. Il tempo passato dall’insorgenza del dolore, la presentazione del dolore, i fattori psicosociali, i comportamenti di “evitamento” e gli obiettivi sono tutti fattori da considerare quando dobbiamo decidere quando esporre un paziente o noi stessi ad un movimento o quando evitarlo.

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Autore

Fisioterapista Gabriele Casamenti con uno modello di uno scheletro

Alberto Casamenti

Fisioterapista

Ciao, sono Alberto, fisioterapista ed osteopata e credo fermamente nei miei tre pilastri della riabilitazione: trattamenti individuali, un solido rapporto terapista-paziente ed un tocco di leggerezza. Mi sono laureato in fisioterapia in Svizzera nel 2014 e da allora mi dedico a creare un ambiente di cura personalizzato, in cui il paziente è al centro di ogni trattamento. Con una specializzazione in riabilitazione cardiologica e un’approfondita competenza nella terapia manuale, mi impegno a rendere la fisioterapia una sfida superabile insieme, con una nota di serenità e tranquillità nel percorso di guarigione.